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Toti Carpentieri per la mostra PATTI E RICATTI del 2023

PATTI E RICATTI, MA NON SOLO
Ritrovare l’energia delle emozioni

“Solo partendo dalla paura e dalla verità si può procedere verso la speranza …”, così chiudevamo, o quasi, il testo di presentazione per “With war on mymind”, la personale/antologica che con Arnaldo Miccoli avevamo costruito nella Galleria del Palazzo Ducale di Cavallino nel gennaio di sette anni fa. E non è assolutamente casuale che proprio da una tale frase sia giusto ri/partire per questo nuovo appuntamento espositivo che, nella conferma del luogo d’attuazione e della configurazione del suo percorso, ribadisce come qualsivoglia analisi/riflessione debba muoversi tra un ante ed un post.

Come in realtà avviene per “Patti e Ricatti” che propone un primo nucleo di opere realizzate negli ultimi quattro anni (quelli attraversati dall’universale pandemia del Covid-19, oggi al centro di revisioni più o meno storiche e di conflittualità che hanno poco a che fare con la scienza, e molto di più con la coscienza), oltre che due consistenti gruppi di lavori. Il primo realizzato tra il duemilaquindici e il duemiladiciannove, il secondo –in un selezionato sguardo all’indietro- tra il duemiladiciotto e il millenovecentottanta, costruendo, in tal modo, un vero percorso organico sulla ricerca/sviluppo di Arnaldo Miccoli, basato sulla sua duplice matrice operativa (la nascita europea e l’esercizio americano), su un fare pittura quanto mai legato all’immagine significante e sulle parole di Paul Klee che affermano “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende l’invisibile”.L’ignoto che sovente gli artisti, e quindi anche Arnaldo Miccoli, sono in grado di svelare, prefigurando gli eventi e intuendone la giusta portata, pur anche offuscata o del tutto nascosta. Come nella succitata mostra “With war on mymind”, da leggersi quale preveggenza di quel futuro remoto che si sarebbe manifestato dal duemilaventi ad oggi,vissuto nella reclusione totale e diffusa cui siamo stati costretti e dalla quale non siamo ancora del tutto fuori, nel sorgere (non improvviso, a dire il vero) e nel perdurare del conflitto russoucraino, oltre che nelle recenti dispute/accuse/smentite sulla presenza di pallonispiadi varie potenze militari nei cieli del mondo. E quindi, trascorso“con la guerra nella mia mente”, vessati tutti da quella paura e da quella vertigine che ben presto si sarebbero diffuse nel mondo, e dalle quali potremmo liberarci, solo per nostra esclusiva scelta/volontà, aborrendo l’insensatezza delle prepotenze/sopraffazioni e ottemperando alle intese/accordi faticosamente raggiunti.

Si comprende allora, perché, nell’evidente continuità del lavoro fin qui svolto, si sia voluto dare a questa mostra il titolo “Patti e Ricatti”, ben oltre quella sorta di affezione personale all’antitesi esercitata da Arnaldo Miccoli –come egli stesso ci ha detto- nella duplicità del suo lungo esercizio creativo: dalle immagini alle parole e viceversa,lasciando alle prime, la risposta al quesito che recita: “… c’è bisogno della guerra per approdare alla pace?”

Come ben rivela la folla di fisionomie, frammenti, numeri, maschere, sagome, profili, tipi, oggettualità e simboli che popolano le opere in mostra, impaginati tutti secondo una precisa narrazione temporale in cui “il bersaglio” (non quello mobile raccontato da John Glen nel millenovecentottantacinque) diviene, alla fine, emblema/gestalt e light motiv di tutta la sua produzione, quella presente, quella passata, e … perfino, probabilmente, quella futura.

Talvolta in un esplicito rimandare al tirassegno, talaltra nel suo divenire occhio, seno, palla, logo efinanche metafisica presenza che ci ricollega a quella storia dell’arte italiana cui Arnaldo appartiene per riferimenti, per esercizio, per scelte, per materie e per cromìe, oltre che agli ulteriori richiami/citazioni in chiave popular, nel rispetto di quella cultura d’oltre oceano (l’aver vissuto a lungo a Tenafly nel New Jersey) finalmente elaborata ed edulcorata. Tra cromatismi terrosi vagamente rinascimentali, recuperi di mitologiche presenze, folle di mani, fantasie di volti e profili ora dialoganti orasolitari, da leggersi quali sviluppi/mutazioni/sintesi di quei due gruppi di opere antecedenti al primo, citati in apertura o quasi, e presenti nell’esposizione (le figure nerastre, il dripping, i mimetismi, gli jugglers, i simboli del potere e della lotta armata, i players, gli espliciti riferimenti, i pigs, gli autoritratti, i soldati, le fantasie sfrenate, i phantmans e le superfici piatte dai colori perfino contrastanti) nella rivendicazione della loro funzione storico/propedeutica. Oltre che nella serena e fidente attesa che “il bersaglio/gestalt” possa, finalmente, ri/acquisire l’allegorico significato dell’energia delle emozioni, ovvero dell’energia creativa che produce e genera tutto ciò che prima non c’era, pace inclusa.

Toti Carpentieri

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