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Stefania Maggiulli Alfieri per “UNTITLED”

Arnaldo Miccoli torna a colpirci, lo fa in modo diretto senza inutili preamboli, imprimendo, nell’opera, tutta l’angoscia esistenziale che accompagna l’umanità in questo doloroso momento storico.
Sulla tela la guerra viene messa in scena come nel peggiore degli incubi, Miccoli lascia l’opera senza titolo ma, paradossalmente, non vi è titolo più consono, non vi sono titoli possibili, infatti, a ciò che stiamo consumando e vivendo, le parole mancano, pesano, talvolta, nella loro inutilità; la nostra attuale storia è di facto senza titolo possibile e adeguato.
Miccoli si affida alla percezione più che alla rappresentazione realistico-formale, e lo fa con tale maestria che, i soggetti raffigurati, sembrano levitare, rimandando una dolorosa sensazione di sbigottito stupore, di attesa angosciante che rimarca l’instabilità e la tragedia in atto. Improvvisamente mancano le fondamenta, si sgretolano sotto i nostri piedi sottolineando tutta la fragilità della nostra esistenza.
L’opera fortemente simbolica e simbolizzante, presenta l’essenzialità dell’ermetismo, vi troviamo la stessa tensione proiettata verso l’ineffabile, la stessa visione filosofica e misteriosa, l’uomo, ridotto a figura antropomorfa, nell’opera perde la sua identità fisica per trovare un’espressione puramente idealizzata e simbolica vicina alla metafisica.
Le figure simbolo sembrano fluttuare nel brodo primordiale, l’autore ribalta i termini della comunicazione di massa adottandone di alternativi, più raffinati ed incisivi, semantizza gli elementi in un processo di essenzialità tale, da conferire a tutta l’opera carattere narrativo, sembra volerci ricordare che la storia tende, tragicamente, a ripetersi.
Untitled non è, tuttavia, un’opera evocativa, nasce dal presente, priva di scopi moralistici si presenta in tutta la sua purezza intellettiva, rimarca la solitudine dell’uomo intrappolato nella tragedia, è l’urlo che nasce nelle viscere, nel profondo dell’io cosciente e insieme compassionevole dell’autore.
Miccoli isola il racconto nel profondo di uno spazio interiore, mai retorico, mai omologato al pensiero comune, ne ribalta i paradigmi con la forza del colore e l’essenzialità delle forme, quasi a dirci che il nucleo centrale della sua poetica pittorica è tale da necessitare di lunghi e profondi silenzi, inducendo ad una sorta di meditazione sulla condizione umana.
Quest’opera è uno stato d’animo puro, essenziale e diretto, crea un codice comunicativo intimo e tesse un dialogo con l’esterno, costituisce un invito a proiettarsi all’interno dell’incubo, ognuno con la propria sensibilità, sollecita a guardarsi dentro senza ipocrisie.
Miccoli è un cronista del suo e nostro tempo, alla ricerca di armonia e risposte, nella consapevolezza di quanto vuoto e aridità sia possibile riscontrare nel corso della vita, quest’opera è il suo urlo di dolore in una visione distopica della società e del futuro.

Stefania Maggiulli Alfieri
Sociologa dell’arte e critica

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