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Opere Artistiche

Critica

“Un aspetto caratteristico della pittura di Arnaldo Miccoli deriva da una contraddizione. Misurato e composto fino a sfiorare l’astrazione , gli Sfuggono di mano rotonde forme barocche enfie di umori,di vita; pochi oggetti ma da cui, come nel biblico miracolo dei pani e dei pesci, si moltiplicano echi senza fine. I Suoi personaggi garbatamente deformati,paiono sospesi in un’atmosfera magica che dipana da antichissime premesse di gusto e di cultura.”

Ennio Are – 1970 New York

“I suoi eroi sono madri e bambini, contadini e pescatori,le sue forme hanno la rustica squadrata solidita’ delle strutture del suo paese natio e nella volutamente esagerata dimensione e rotondita’ dei volti e’ come l’espressione della pienezza di una vita ,fatta di fatica, rassegnazione,umilta’, e nello stesso tempo fierezza della sua gente. “

Mario Albertazzi – 1971 Il Progresso Italo Americano

“Le sue nuove opere colpiscono per l’esuberante plasticismo ( e’ il segno lasciato in lui da Gentilini),per quella terza dimensione che nei suoi personaggi rivela una realta’ umana intesa come ansia di vivere e che si traduce sulla tela in un colore ricco e luminoso. Pur non disdegnando di raffigurare la realta’ con una certa crudezza, mai egli ripudia l’elemento poetico. Le sue figure, intrise di una delicata sensualita’,sono collocate in una solitudine inquietante e creano a volte un’atmosfera malinconica, mentre l’introspezione ne travisa la fisionomia e le aggrava di mistero. Quando poi fa capolino un tantino di ironia ancora di piu’ la lezione dell’espressionismo della sua arte si fa’ densa di contenuti e di ammonimenti. “

Giovanni De Tommasi – 1975 Lecce

“Nel suo espressionismo volumetrico l’artista realizza personaggi i cui caratteri morfologici spiccatamente steatopigici ricordano certe antichissime realizzazioni figurative che rappresentano donne ben guarnite di ogni rotondita’.Questo eccesso volumetrico , reso con molta armonia, simbolizza, forse ironizzando l’umano strapotere, nel fatale evolversi di un’umanita’ sempre piu’ invadente e pretenziosa “

PAN – 1971 La Settimana a Roma

“Si direbbe che la tendenza propria del pittore sia quella di rendere con mezzi ridotti un effetto di madornale. Una dimensione che sappia a un tempo di favoloso e popolare. E mentre quel gusto ci appare a suo modo aggiornato e sa attingere qua e la’ – come nella Testa di cinese, nella Natura morta – raffinatezze che possono darci il prezioso e il succulento, ci si scopre legato a ricordo di quel Novecento ch’ebbe in Carra’, artista di incantata visione, uno dei piu’ felici assertori. Guarda, tra le altre, la composizione con la barca. Osserviamo, dunque, che un sentimento di accento assorto, chiuso,sostanzialmente spontaneo tanto da parer grezzo; un sentimento di medievale(romantico,giottesco, se si vuole) riflette pure esperienze recenti e sa risolversi, come nelle opere citate,in estratto di cultura moderna.”

Virgilio Guzzi – Il Tempo 1971

“Una pittura figurativa ,la sua ,decisamente moderna, ma che sa esserlo restando gradevolissima all’occhio e cio’ che piu’ conta conservando quei valori contenutistici ai quali la pittura di qualsiasi epoca non puo’ rinunciare senza ridursi a un semplice gioco piu’ o meno sperimentale, fine a se stesso. La deformazione che caratterizza i personaggi di Miccoli e’ tutt’altro che arbitraria o capricciosa. La vorremmo definire, invece,amorosa e classica, perche’ suggerita direttamente dal sentimento e da piu’ o meno coscienti reminiscenze d’antichi affreschi primitivi, tipicamente italiani. In questi suoi contadini e pescatori, popolane e fanciulli dai volti rotondi( cosi’ plasticamente rilevati da sembrare scolpiti nel tufo’, e spesso composti come piccoli,ingenui monumenti), passato e presente trovano naturale punto di fusione in un genuino senso di umana solidarieta’.”

Bruno Morini – Il Giornale d’Italia – 1971

“Miccoli appartiene a quella schiera ridotta, ma validissima, di talenti creativi che dll’Italia hanno piantato le proprie tende in terra d’America. Nato a Lecce, diplomato dall’istituto di Belle Arti ( Pellegrino ) di quella citta, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti a Roma , con Gentilini ha affrontato l’esperienza (Yenkee) ad occhi ben aperti, prefiggendosi il compito di svelare il proprio temperamento di artista ad una civilta’ ben differente da quella europea, e conseguentemente ben piu’ tetragona.”

Giorgio N. Fennin – La voce Repubblicana – 1974

“Passo ora a dire di quanta sincerita’ di assimilazione ci sia nel Miccoli il quale non e’ che sia abile in un genere scelto piu’ o meno per far (l’originale), ma e’ che lo sente questo linguaggio, congenialmente; se no le sue figure non peserebbero quanto pesano, raccolta in se stesse in una interezza ove la spontanieta’, appunto, del peso volumetrico esprime una evidenza animistica; l’uomo su cui qualcosa incombe dal di dentro e lo appesantisce come se fosse di piombo. Come avvenga che un disegno sia pesante ed una scultura di pietra sia lieve, e’ il mistero trasfigurativo dell’artista; cio’ che qui m’importa dire e’ soltanto che il Miccoli si esprime cosi’ non di proposito, ripeto il concetto, non per scelta, ma per temperamento.”

Ernesto Alvino – La voce del Sud – 1978

“Miccoli’s figures, more economical in shape even than Diego Rivera’s, are so directly stated that anatomical accuracy does not count. To guarantee such simplified composition effectiveness as an aesthetic experience, the artist relies on a sure sense of design and color tone. “

David Spengler – The Record- 1970

“Arnaldo Miccoli paints flesh-color brown, as it is appropriate in depicting virile Suntanned fisherman. At the same time this makes his figures look as if they were sculpted out of wood.”

Gordon Brown – Arts Magazine – 1971

“Les tableaux d’Arnaldo Miccoli sont bien d’une meme facture, les reflets d’une meme ame. Les memes personnages sont une meme de visage qui parais etonnante au premier abord. On s’habitute, on finit meme per comprendre et par accepter.Arnaldo Miccoli est bien le peintre de son temps,modern certes, mais d’une modernite establi sur de longues etudes classiques.”

Aude Francois – France Amerique – 1971

“Arnaldo Miccoli. Paints pensive figures compositions in a simplified,sculptural style. Colors are kept to a minimum and the features of the faces reduced to a formula notation in order to monumentalize the form of the figure itself.”

Charles Offin – 1971 Pictures on Exhibit

“Arnaldo Miccoli paintings have an undercurrent of family security as a bulwark against an unfriendly and difficult world. They have an appealing simplicity which makes them seem strong direct expressions of the artist’s basic feelings.”

Hulda G. Lawrence – Park East – 1971

“Mr. Miccoli brings a strong feeling of this earthiness to his paintings. The postures are exaggerated to stress the dedication of his subjects to survival. The clothing is molded and becomes one with the body it covers.”

Ruthann Williams – 1972 New Jersey Music And Art

“……….Ed e’ cosi’che le opere di Miccoli, lasciando da parte i toni pastello delle poetiche immagini al femminile, per spostarsi verso direzioni di non facile riconoscibilita’, passando, ancora una volta, all’interno del mito “sesso”,che non e’, poi, soltanto americano.Le sue veneri in pelliccia, fanno rammentare non solo baroni tedeschi, ma innescano sensazioni di pelle e di facile aggressione – ben leggibili nel fatto pittorico-, modificandosi quasi d’improvviso, sino ad avvertire uno strano turbamento, forse ancora piu’ sottilmente erotico ed inquietante.Il viso della donna, infatti, diviene sconosciuto e, quello che piu’ conta, irriconoscibile, pur nella costanza di un antico profilo greco e di memorie collegate. L’opulenza del nudo che si contrappone al vestito di pelliccia (pelle ancora una volta), si disturba nell’evidenza di questa sensazione “monstre””

Toti Carpentieri – Lecce – 1983

“………Dal quotidiano ,quindi, Miccoli passa al suo superamento, oltre il limite di qualsivoglia situazione giocosa, anche quella di inventare ed inventarsi<<situazioni>>diverse : dal probabile duello del confronto tra maschere al sorriso cortese di citazioni divenute ormai soltanto memoria personale. E se il minotauro si presenta con una falsa riconoscibilita’( che e’ poi,forse, il suo vero <<viso>>),non dimentichiamo che il ritornare nel proprio <<essere>>, puo’ generare ulteriori<<sorprese>>. Il racconto continua pero’, in una metropoli apocalittica a cui il gusto riesce a dare nuovi e splendenti colori . “

Toti Carpentieri – Lecce – 1986

“Cosi’ Miccoli ci prende per mano, quasi per farci compiere una sorta di attraversamento nella realta’ di queste figure(singole o in gruppo che siano), memorizzando emergenze espressioniste- quante evidenze e quante memorie- e rivelano l’immediatezza del realismo americano, nella ripresa del discorso sui tempi e sui luoghi, secondo una <<presa>> totale e coinvolgente. Il pezzo scomparso e’ qualcosa di piu’ che una semplice affermazione o un’esauriente spiegazione, e’ un messaggio nascosto – cifrato- ed un giocare quasi per rebus ed anagrammi, tra nostalgiae tenerezza, frantumando la percezione del colore ma mantenendo il <<segno>> ( ecco una certa ed importante differenza)secondo un discorso flessibile ed armonico che inventa livide cromie e spazi introspettivi, non mistificati, ma in grado di evidenziare profondita’ ed emozioni, in un verso liberatorio e naturale.”

Toti Carpentieri – Lecce – 1988

“Uomini, donne (quante presenze femminili a partire dall’indimenticata Lady with rollers di “Verifica 76”), mostri e guerrieri, che, pur riconoscendo quanto dovuto all’arte americana –il lungo permanere dell’artista negli States- rimandano alla tradizione italiana, si propongono tutti secondo un’elaborazione pittorica armonica che riconosce modelli e richiami e che affonda, talvolta, anche nell’autocitazione, conferendo alla costruzione dell’opera e al succedersi e al sovrapporsi delle superfici e delle cromìe, assolutamente non omogenee e quindi non replicate: dal blu variabile all’incarnato, alle modulazioni delle terre, al verde brillante, al rosso variabile capace di trasformarsi in arancio e in ocra, al nero sofferto, la capacità di percorrere traiettorie complesse ben oltre l’immediatezza della lettura. Costruendo/costituendo una sorta di campionario di volti/campioni sovente statici e come straniati, collocabili tutti o quasi in quelle classi tipologiche di cui scrivevamo poco sopra, dal Profilo rosso e Figura con basco rosso (intenzionalità) a L’Argangela e a Catch of the day (simbologia), al Fiorettista e a Soundless (tipologico), al Selfie senza condizione e a La ragazza del treno oltre che a Girl with bubble gum (fisiognomica), a Figura con ventaglio, a Piercing e a Punti di vista (ricostruzione), cui attingere nella formazione dell’immaginario personale.
E siamo così, nuovamente, a quel concetto globale dei luoghi dell’anima, tra introspezioni e analisi freudiane o junghiane che siano, tra visionarietà e smarrimento, rammentando come lo stesso volto/profilo possa mutare le sue fasi nello spazio e nel tempo, legato com’è alle infinite variabili che definiscono il secondo e il primo, e al loro essere (le variabili) sovente l’una la funzione dell’altra e/o dell’altra ancora.
Ma saprò mai riconoscermi riflesso nello specchio!”

PHASES OF A FACE – Toti Carpentieri febbraio 2017

“Ecco quindi che le sue figure indossano maschere che divengono, nello stesso momento, volti qualificanti della realta’ sociale a cui essi dovrebbero appartenere. I ritmi singolari e l’equilibrio delle forme sono per Arnaldo Miccoli un riferimento alla costruzione estetica del dipinto in cui egli riversa quella struttura stereotipata che emerge dal paesaggio urbano nel quale l’autore e’ immerso. Dal rapporto con questa vivace realta’, Miccoli intrattiene con i suoi dipinti un colloquio intenso, dando vita ad un modo certamente diverso da quello a cui si riferisce poiche’ ne approfondisce i temi nascosti.”

Antonio De Santis – 1987

“Ci troviamo di fronte a messaggi profondamente ragionati dove appunto l’uomo diviene il personaggio principale di ogni <<racconto>> pittorico. E non tanto l’uomo nel suo mondo intimistico, quanto, invece, inserito nella realta’ che lo circonda, una realta’ che pure e’ bella in se stessa, avvincente ed entusiasmante, ma che nasconde un’infinita’ di insidie destinate, quasi, ad un annullamento della personalita’ e degli ideali che l’uomo sente nascere nel suo intimo. Ecco pertanto le <<visioni>> di cui si parlava, dove l’uomo sembra cadere in balia di continui agguati che lo divorano. E’ una costatazione amara, se vogliamo, ma vera di cui non e’ possibile non accorgersi. Il tutto, pero’e’ inserito in un contesto quasi ironico, come a significare che l’uomo non puo’ finire succube di determinate circostanze, se da parte della sua volonta’ , e’ capace di ribellarsi.Una pittura, quindi, quella di Miccoli, che invita a riflettere e, insieme, a rendersi conto che ogni difficolta’ va superata sicuramente. Nel contesto stilistico, esaminando i vari passaggi interpretativi, la pittura di Miccoli e’ <<robusta>>, non cede a leziosaggini di sorta, equilibrata e armoniosa nei segni e nelle tonalita’ il che rivela una valida esperienza e una capacita’ che sa imporsi con maestria e bravura”

Lino Lazzari – 1987 Firenze

“La lettura critica che ha preso in esame in questi anni la ricerca di Arnaldo Miccoli ha proposto molte insegne, dall’espressionismo primordiale al Novecento, dalla Metafisica ad una ruvida e robusta versione della Secessione. Miccoli e’ artista colto e riflessivo ; era naturale che attraversasse il campo degli<<ismi>> del suo tempo, ma senza farsi contagiare a freddo, assumendo stimoli e suggerimenti per una sempre piu’ piena espressione del proprio mondo. Emerge evidente lungo la sua ricerca, una costante intellettuale e spirituale, che nutre la tensione surreale di certi suoi dipinti. Non intendono staccarsi da un impegno realistico, anzi suggerire un approfondimento e una denuncia. Le parate, i teatrini,lo splendore e le distrazioni delle feste del sud( un immenso continente che, dal Mare Adriatico e dallo Jonio, scorre fin negli oceani che circondano il Nuovo Mondo), il tripudio dei colori , i palloncini fermi in un’aria densa,i bastoni variegati , i simboli, ripescati in profondissimi depositi umani, non velano il sentimento della morte,della deformazione delle forme e dei valori. Le famiglie, i bambini, le donne appaiono stravolti da un meccanismo sfrenato, che ha messo sotto la dignita’ dell’uomo, sacrificandola ai miti contemporanei del consumismo e dell’efficientismo tecnologico.Sulle teste, gli elmi diventano una seconda pelle, le donne assumono una divisa, esprimono violenza, anche se, nel taglio degli occhi, affiorano sgomento e malinconia, lo smarrimento di ch ha perso il centro , ha lasciato essiccare le radici. Anche l’amore, la coniugazione di impulsi e desideri, piu’ che un annuncio di intimita’, di scambio innamorato, e’ triste esibizione biologica. Sui gironi di un inferno metropolitano, Miccoli con pieta’, anche quando il suo segno e’ crudo e devastante, dispone le sue creature. Cercano di dimenticare la loro condizione esistenziale, lo straniamento in cui sono immerse. Si trastullano con bandierine e giochini delle fiere, ma l’iinocua lingua di carta srotolata dal fiato si muta in insidia serpentina . I gladiatori dentro le armature attillate, si fronteggiano, digrignano i denti canini, celano i coltelli dietro gli scudi. Forse si guatano pensando alle amazzoni, alle Sabine rapite, alle veneri, alle muse che hanno sorpreso nelle tele di Miccoli. Forse , sperano che la loro lotta le aiuti a ritrovare la loro natura poetica in una ragione in cui il mito coabitava con pensieri e le opere dei giorni e delle notti in terra, dove le ossessioni erano costanza di remoti impulsi , antichi sentimenti e gentilezze. Par di cogliere, lontano, un canto dentro i cieli rossi di Miccoli, quello delle giovani contadine del Leccese. Per troppo amore desideravano di mutarsi in uccellini, per poter nidificare sul petto dei loro innamorati, come pesciolini per finire nelle reti tese dalle loro braccia, il loro canto si straziava nel rimpianto di aver smarrito sortilegi ( ancora bastoncini simbolici, intimi nella smagliante tavolozza di Miccoli), e magie capaci del prodigio.”

Alberigo Sala – 1988

“…….In primo piano ecco farsi avanti masse antropomorfe fasciate con corazzee coperte da mostruose maschere( “ Maschera pe Minotauro”, 81), pennuti che sembrano uscitidalla fantasia filmica di A. Hitcicook e dal mondo visionario del romanico pugliese “ Uccello Chiavatore”del 1981, La chioccia d’oro del 1985), studi con maschere dove fa capolino l’immagine cornuta del diavolo che, in fondo , puo’ essere anche del toro picassiano. Se l’immagine scompare, cio’ si deve al processo cartatico, sicche’ la tela viene liberata dalla condizione iconica per divenire segno (materico), lirica intuizione dello spazio fisico interiorizzato, ed infine liberta’ del fare artistico come poetica manifestazione dell’espressione soggettiva. Alla fine, il canto del cigno della pittura di Arnaldo Miccoli resta la resa fisica delle cose prodotte dal mondo contemporaneo e la sfida ironica che consiste nel gioco delle trasfigurazioni magiche”

Pietro Liaci – 1988

“L’incontro fra le maschere non genera un dialogo ma provoca un urto un conflitto che prelude al duello: se la bocca e’ digrignata in un falso sorriso, la mano tiene stretto il pugnale ed e’ pronta a colpire. E il riposo della maschera non e’ lieto, nemmeno e’ dedito alla meditazione, a un tentativo di riscoperta di se’: similmente a un robot la maschera si trastulla con un jo-jo e il suo gesto meccanico, comandato dall’esterno. Ugualmente lo svago non e’ lieto, si presenta piuttosto come una occasione di violenza se la foggia del centauro e del pilota rassomiglia ad una corazza, il loro casco ad un elmo di combattimento. A loro volta le figure femminili non alludono ad una promessa amatoria secondo legge naturale. Elefantiache per immonda obesita’, ostentano gli accessori di un eros degradato a manifestazioni sadomasochistiche: i loro torsi sono ingabbiati in corpetti di cuoio, gli avambracci sono inguainati nella lucida pelle del guanto, l’inguine e’ sfiorato da stivali enormi e complicati, fitti di borchie e lacci. Per la modalita’delle loro positure, per le temperie stessa in cui giacciono, esse non si apprestano a un gioco d’amore seppure perverso ma si inizano bensi’ allo squallore di un solitario esibizionismo. E tanto integrate risultano alla popolazione che gremisce questo cosmo senza luce, intessuto nelle pulsioni di un furore demenziale, da richiamare alla memoria un vecchio versodi Alean Ginsberg: <<A war – creating Whore of Babylon bellowing over Capitols and Academies>>. ( prostituta di Babilonia creatrice di guerra che grida su Campidogli e Accademie)Forse, il quel cosmo, solo il Minotauro si isola in un cerchio di superstite dignita’ poiche’ il Minotauro rimane la vittima incolpevole , esposta al sopruso, alla torturae al sacrificio che consumera’ Teseo, <<l’eroe>> ossequiente a un codice eticamente immotivato al pari dei gladiatori convocati da Miccoli. Incalzante e’ il discorso dell’artista, senza allentamenti di tensione nella vis espressiva. Un discorso che si esplicita mediante un linguaggio dai contorni ormai personalizzati. Partecipe di una cultura figurativa stesa in un arco ideale che dall’espressionismo trapassa la Neue Sachlichkeit per concludersi nelle aree piu’ avanzate del realismo americano, Arnaldo Miccoli e’ pervenuto ad una calibratura dell’immagine del tutto autonoma , puntualmente connessa alla sua Weltanschauung. Direi anzi che, pur vivendo e operando a New York l’artista immette nell’opera una componente specificatamente <<europea>> che, alla lunga, costituisce il suo identificativo. Ma, per quel che piu’ conta , si tratta di un discorso che immediatamente coinvolge, e sconvolge. Perche’ questo inferno terrestre e’ , alla fine, il luogo della nostra frequentazione quotidiana”

Carlo Munari – 1988 Milano

“…….Questa fase del periodo << grottesco- magico>> di Miccoli e’, come si e’ visto ,imperniata su una visione demoniaca della realta’. Bisogna tuttavia specificare due momenti pittorici, nel primo si tratta di un << demoniaco plastico>> e nel secondo, riguardante gli anni piu’ vicini a noi,di un <<demoniaco trasparenze>> . Prima di arrivare all’ultima accezione, tratteggiamo la produzione di quadri di scena, che si sono aggiunti a normali quadri di figura. In sostanza, dopo un iter piu’ che ventennale in cui Miccoli ha sempre centrato nel quadro un personaggio per volta ( e rarissimi sono i casi che fanno eccezione) , dovendo ormai raccontare degli apologhi, per cosi’ dire, e illustrare la commedia umana egli si e’ trovato dinnanzi non piu’ all’uomo solo, bensi’ all’uomo in relazione e in societa’. Ne sono nati dei dipinti piu’ complessi addensati di figure , ma anche di animali, di alberi e di case. Basti citare il Torneo,Starless, Il Gatto , Uomo col voto verde, tutti del 1983. Opere in cui appare lo stravolgimento la saturazione , la mancanza di gerarchie, la demenzialita’ degli atti, la festivita’ allucinata , l’horror vacui , la vanagloria e la pompa: tutti sintomi di una demonicita’ tratteggiata dall’artista con sapiente distacco mentale, insieme a una calda partecipazione circa l’elemento atmosferico e cromatico. Tutta questa prouzione comunque, e’ imposta prevelentamente sull’elemento plastico – volumetrico delle figure”

Riccardo Barletta – 1988 Milano

“…………….Il demoniaco della storia dell’arte – Bosch a Signorelli, a Max Ernst a Klee – e’ una linea poco conosciuta in generale, ma estremamente importante, In questa lineava inserita l’apporto originale di Arnaldo Miccoli, artista validamente impegnato su un piano internazionale. I suoi “angelici demoni” oppure i suoi “demoniaci Angeli” li possiamo incontrare tutti i giorni: nella vita, sulle pagine dei giornali o sul video. Come operazioni a contrario, essi ci riportano all’alterita’ del sacro nonche’ alla maternita’ benefica della natura. E’ il sortilegio sottile dell’arte che, laicamente, li fa parlare, mettendoli emotivamente in comunicazione con la nostra anima.”

Riccardo Barletta – 1989 Milano

“Piacerebbe ad uno studioso di Psicologia del profondo la pittura di Arnaldo Miccoli, Leccese di New York, che propone nell’antologica organizzatagli dal comune di Lecce , una selezione di opere , realizzate a pertire degli anni settanta. E’ visibile in questi quadri , l’influsso di quell’atmosfera classicista che aveva spinto un Sironi o un Carra’, al monumentalismo arcaico delle figure bloccate ne tempo.L’immobilita’ e’ una costante nei dipinti dell’artista, che ad essa affida i valori espressivi di personaggi –mito, fuori da ogni dimensione reale, feticci culturali. La fissita’ apparente delle figuree’ rotta da una molteplicita’ di analogie che innescano un gioco di rimandi e associazioni sull’onda di una <<reverie>> fantastica e visionaria. Tra le immagini care a Miccoli, ci sono quelle Canoniche del repertorio simbolista, dal Minotauro alla maschera . L’innesto tra uomo e animalee’ verificato in infinite varianti. L’atmosfera di racconti , descritti in uno stato di <<surrealta’>>, e’ densa di drammaticita’, ma senza pathos. A predominare piuttosto e l’irreale cui rimanda sempre questa pittura , metafora della realta’”

Anne D’E Lia – 1989 Lecce

“Miccoli’s intriguing paintings are dominated by enigmatic masive figures in dreamlike environments. Sometimes there are animals present – leopards, dogs, and horses with faces more human and compassionate than Miccoli’s protaconists. Miccoli has been described as a “narrator of the metropolitan apocalypse”. His warrior- like figures are often involved n aggresive behavior, fighting perhaps against their own distorted reality. In their dreamlike world, a city sidewalk becomes a circus ring a bar becomes a torture chamber. In his finely executed colored pencil drawings, however, Miccoli revels another side of himself . His touch is lighter and the result is more sympathetic rendering of figures who are less aggressive and more contemplative . Miccoli also constructs walpieces and large freestanding sculptures from such found objects as a chair , picture frame ,helmet, umbrella, tennis racket and shoe. He puts the pieces together to create in another media, his same distinctive urban gladiators. “

Charles V. Hooks – 1989 Texas

“L’arte americana ha forse influito solo parzialmente e direi in minima parte – su quella di Miccoli; magari ne ha facilitato la rastremazione della figurae del colore che in questi ultimi tempi si e’ fatto ambiguo insieme con l’immagine, E’ probabile che, riattraversando , come spesso accade, le illuminazioni a suo tempo fornite dalla pittura di Gentilini che e’ stato il suo maestro , Miccoli sia andato a ripescare ancora piu’ nel profondo del suo passato a rappresentarsi in queste tele di vita di pittore certe esperienze astratte sulla cui soglia, oggi ama <>le imprese piu’ recenti. Ad ogni modo e’ semprel’amore intenso verso le fantasticherie suggeritegli dalla cultura del proprio paese a rappresentarsi in queste tele di viva suggestione e soprattutto di rara pulizia. Una bella mostra , insomma , alla quale una monografia di grande formato , redatta da Barletta e da Sala, fa da guida preziosa , indispensabile perla rivisitazione dell’iter percorso di questa pittura.”

Tommaso Paloscia – 1990

“Con il gusto romanzesco per l’avventura tipico per i salentini ( come era stato per Vittorio Bodini , una americana propiziata sall’amore per la adolescente Rita, figlia di emigranti italiani ,che raggiunti i genitori negli Stati Uniti lascia Arnaldo alla disperata e vana ricerca di un visto per l’America . Quando finalmente lo ottiene , raggiunge Rita , la sposa e con il suo aiuto affronta l’odissea di tutti gli emigranti, con tutte le modulazioni della umiliazione e della speranza. Gli scritti di alberigo Sala e di Riccardo Barletta tentano di scoprire le radici del <<duende>> , dell’estro di Miccolied approdano,al di la degli aspetti varii ed alle volte contraddittori di questa personalita’ , alla fertile origine popolare e meridionale di questo ingegno, al mito di una scomposta ed indecifrabile vitalita’ che attinge a radici lontane prodighe di storia e di cultura.”

Franco Silvestri – 1990

“….Esiste nell’uomo, cioe’ , una costante ”brutalita’ “ che supera Il tempo e non conosce fratture fra passato e presente , un inesauribile “ richiamo della foresta” che non solo la societa’ piu’ evoluta e moderna e’ riuscita ad assopire , ma che talvolta essa stessa finisce per esaltare. Chi guarda l’aspetto tragicamente fisso e inquietante del Giocatore di hockey, tipico nuovo eroe della masse statunitens, non puo’non riconoscere in esso la stessa “bestialita’” dei gladiatori effigiate nei mosaici nelle terme di Caracalla, antichi eroi della moltitudini romane; sono passati diociotto secoli da quei tempi, ma niente sembra essere cambiato da allora. E’ l’inconscio , l’irrazionale che continua a trionfare , a determinare la vita interna ed esterna della maggioranza degli uomini. L’anti-classicismo di Miccoli , la sua ostilita’ ad ogni idealizzazione fisica dell’uomo, e’ allora lo specchio fantastico di una nozione dell’esistenza che ci identifica tutti come esseri impuri e deformi, vittime dei continui impulsi dell’inconscio, soggetti predisposti geneticamente al brutto e al male. Siamo tutti angeli ribelli in cerca di paradiso perduto per sempre, sembra dirci Miccoli attraverso le sue visioni pittoriche, angeli che sono caduti nel fango e non riescono piu’ a liberarsene . Siamo tutti angosciati dalla nostra irrimediabile imperfezione, a noi e’ negatala bellezza e la saggezza; siamo tutti mostri, siamo figli , avrebbe detto Goya del sonno della ragione.Ma nonostante questo pessimismo, alla mostruosita’ proposta da Miccoli finiamo per abituarci come se possedesse una sostanza non necessariamente terrificante ed opprimente . Ci accorgiamo , cioe’ che la mostruosita’ e’ in fondo l’anima piu’ autentica dell’umanita’ , il suo principale motivo d’identita’ in un universo che sembra essere stato predisposto non da una Grande Ragione, quello stesso inconscio che imperversa nelle fantasie di Miccolie di noi tutti , che fa produrre a noi mostri altri mostri a immagine e somiglianza delle nostre paure, dei nostri timori primordiali , delle nostre voglie insane. Un modo, come un altro , per esorcizzare le minacce di una natura leopardianamente matrigna , come facevano gli ignoti pittori primitivi delle grotte di Altamira”

Vittorio Sgarbi – 1999

“Aunque este cambio supone el predomino de una heterodoxia tematica y stilistica : que a primera vista parecer accidental y antisistemtica , sus representacionineas pictoricas, que resurgen de las sedimentaciones de su memoria, no tienen solo la funcion de transmitir la imagen ; profundamente arraigadas en susistema contemplativo , son fundamentes de una firme y meticolosa edificacioan de metafora la global del teatrummundi , enci cual la tragico-media humana se revela hasta susin ultimas consecuencias apocalipticas.”

La Tribuna – 2000 Marbella

“Sus ideas Arnaldo Miccoli las expone mediante su eclectico discurso pictorico , que parte del realismo y de la figuracion y tiende hacia el simbolismo y hacia la expresion metaforica surrealista , en cuya formacion, edema del arte arcaico, han influido algunos ilustres antecesores , como el genuino precursor del surrealismo , Heironymus Bosch, a quien rinde tributo en sus secuencias mitologicas en las que los paisajes fantasmagoricos su pletorica imaginacion los puebla de seres grottesco, creando la infernal realidad dantesca; tambien son evidentes las presencias de las oniricas pespectivas y de certa influencias daliniana en su geometrismo y en la destruccion de formas hay reminiscencias picassianas….. Todos esto influjios, junto con la gran aficion por la cultura del teatro , dejan en evidencia su amplia erudicion que se traspone en un pretexto intelectual de sus obras,conilevan un gran dois de poesia.”

Branka Berberijan – 2000 Marbella

“Arnaldo Miccoli ( he lives and works between Lecce and new York) always attracted by the mythological and symbolist creates extraordinary set , in which human figures , chimeras, animals, are fantastic players of an imaginary load of expression, which offer a number of tips and ideas, to be still, modern and lively, mobile and intellectuals , in contrast to a popular culture , and bipolar culture.”

Doris Sacquegna- Primo Piano livin gallery Lecce

“……I bagliori espressivi delle tele di Arnaldo Miccoli accecano lo spettatore che puo’ cogliere un straordinaria visione del mondo anti-classicista, nei suoi quadri l’uomo altro non e’ che un angelo ribella in cerca di un paradiso perduto. Nell’Eden proposta dall’artista cavallinese vince il peccato, figlio di un espressionismo primordiale, che fuoriesce dall’inconscio nonche’ dall’stinto umano. L’autenticita’ predomina nelle creazioni di Miccoli che scandalizza per redimere lo spettatore dalle oppressive censure e lasciarsi avvolgere da un turbamento erotico. In questa bipolarita;’ tra Eros e Thanatos, il corpo e’ il protagonista assoluto delle sue tele popolate da figure robuste collocate in un elegante gioco cromatico e in un’armonia compositiva, i personaggi sono sospesi in una magica atmosfera, assorti in uno straniamento perche’ posti al di fuori da ogni dimensione reale. Le nuove soluzioni formali create dall’artista propongono i personaggi come emblemi della vita , sono vessilli di un periodo arcaico in cui la sensualita’ coincide con la filosofia della bellezza ossia con la vanita’ del piacere. Un godimento che si puo’ provare scrutando le eccezionali opere di Arnaldo Miccoli , l’intellettuale dell’immaginario visivo.”

Paola Bisconti – 2013 Lecce

“E’ una pittura, questa di Miccoli che si riconosce immediatamente per la sua peculiare connotazione, e cio’ vuol dire altresi’ che l’autore sa scavare nella stessa area di ricerca. Certo, ulteriori risultati sono visibili e la mostra attuale appare ancora piu’ omogenea e piu’ rigorosamente selezionata della precedente. Sodezza della forma sintesi delle masse, severita’ architettonica sono attributi del linguaggio figurativo, semplice e schietto, di Miccoli, il quale in alcune opere da il senso di dramma.Un altro carattere fondamentale di questo linguaggioe’ senza dubbio l’originalita’ delle inquadrature: arditezza plastica nell’impiego del primo piano”

Salvatore Spedicato- Voce Del Sud 1975

“Gli USA sono riferimento inevitabile. A vantaggio di Miccoli, rendendolo libero dai legami di tradizione italiana, la sua evidente scuola , va individuata la sua “ americanita’” statunitense si intende, che lo porta in una sfera dell’arte contemporanea avviata verso novita’ autonome . “Tratti Ritratti” e’ il titolo della mostra . La individuabilita’ , piena nelle suggestioni dei ritratti con nudo femminile, e’ nella carica di ottimismo e incarnati, sazi ma elettrizzanti, sin nel colore, da brividi di angoscia. “

Giuseppe Selvaggi – 2002 Giornale d’Italia

“La pittura di Miccoli ha un sentimento tragico, a volte senza via d’uscita, soprattutto quando si ispira agli eventi di storia contemporanea e la sensualita’ delle sue matronali figure femminili, vagamente meccaniche, e’ legata anche a una ricerca di mostruosita’ che coincide con la zona buia sepolta dentro l’animo umano. Brutale in alcune soluzioni cromatiche , con una durezza pensata e voluta, nell’ultima produzione modifica la taolozza con forme e colori piu’ “leggeri” , figure quasi sempre parziali, condotte sul filo del non senso e dell’ironia che appaiono come le maschere che ciascuno di noi tende a indossare.”

Marinilde Giannaandrea – 2012

“Artista poliedrico, tenacemente legato a quelle radici salentine dove magico e terrestre si ritrovano sullo stesso denominatore emotivo, Arnaldo Miccoli procede alla ricognizione di un universo fantastico, sospeso tra surrealismo ed espressionismo. Una fabula eccessiva, la sua, allarmante per quanto di denuncia e di presentimento contiene, eppure sensibile al versante ludico del grottesque: le ipertrofiche creature dalle maschere impassibili che ne sono protagoniste appartengono in definitiva al mondo dei sogni , che e’ il territorio dove l’inconscio si libera e prepara la catarsi. In questo superamento , esplode la festa, il sentimento di un sud universale dove i bassorilievi della cattedrale d’Otranto si confondono con i bestiari e le scene rituali dell’arte precolombiana . Alberigo Sala, che insieme a Riccardo Barletta presenta in catalogo la mostra alla galleria Aglaia di Firenze, cita non a caso Orozco, Rivera, Tamayo e Siqueiros .E in effetti Miccoli deve essersi ricordato di quella umanita’ massiva e monolitica , senza pero’ assecondarne la fondamentale cifra populista . Il suo linguaggio plastico somiglia piuttosto alla tappa finale di “un ritorno all’origine” che era cominciato sotto il segno di Carra’ e di novecento : per strada, l’artista ha decantato tutto un personalissimo repertorio visionario saturo di colore e di ironia, dove Eros sempre eterno finisce per trionfare su una stirpe di giganti , insinuando, col suo parossismo trasgressivo, il lato demoniaco e pur vitalissimo della memoria collettiva mediterranea.”

Giuliano Serafini – 1980 Firenze

“Il Pittore pugliese Arnaldo Miccoli, per esempio , che espone ( fino al 10 Marzo prossimo) alla galleria Aglaia ( Borgo San Jacopo) , reinventa le accensioni di colore in funzione del ruolo demistificatore che si e’ imposta la sua pittura. Ovvero Miccoli scopre l’artificiosita’ e la ridondanza del linguaggio pittorico , compiacendosene. Le sue figure, quasi metafisiche nella loro estrema immobilita’ , alludono a una possibilita’ figurale o lirica che pero’ viene allo stesso tempo negata. In questa ambiguita’ irriverente e nemmeno troppo calcolata , possiamo cogliere il fascino di certe immagini di Miccoli . Un po’ Ernst, in parte la Pop, magari anche Baj, sembrano tutti aver contribuito alla nascita di quella “fantasmagoria dolce e ironica” definita da Riccardo Barletta ( curatore del catalogo insieme ad Alberico Sala) , come maniera del “grottesco plastico”.”

Nicola Nuti – La Gazzetta 1980 Firenze

“In” God we trust”. Le opere dell’artista salentino, che da decenni vive ed opera come pittore e scultore a New York, sono una risposta lirica alla catastrofe delle “Twin Towers”, vissute personalmente da Miccoli. Sul palcoscenico delle sue tele, il pittore costruisce un’entita’ nuova, vivace, magnetica, che deriva dal dollaro, sul quale trova la frase “ In God We Trust” ( noi crediamo in Dio) che lo colpisce. Il maestro, a quel punto, prende il logo della moneta, “ la esse” tagliata da due linee verticali, e lo spezza. La scissione addita una rottura, cioe’ il conflitto realizzatosi tra il dollaro e il mondo , elemento giunto all’esito tragico dell’undici Settembre 2011. Questa mostra e’ il racconto in prima assoluta, dopo decenni di personaggi in chiave di grottesco tra l’espressionistico ed il surreale, del passaggio del maestro alla’astrazione. Miccoli delinea i suoi dipinti astratti, totalmente originali, proprio avendo presente l’evento catastrofico, lasciando da parte la vulgata corrente ( concretismo geometrico, optical art, segnicita’ organica, etc). Costruisce cosi’ sul palcoscenico virtuale delle sue tele un’entita’ assolutamente nuova: attiva, vivace, decisa e magnetica. “

Salento in Tasca – 2006 Lecce

“Caro Arnaldo, Ho completato in questi giorni la realizzazione del brano di cui ti avevo parlato ad Otranto. E’ stato un lavoro piuttosto lungo per svariati motivi ma sono estremamente soddisfatto del risultato. La tua pittura, al di la delle immagini e dei colori, ha rappresentato per me un esempio da seguire. In un periodo della mia esistenza in cui la ricerca del “bello” ( aspetto spesso cosi’ assente del nostro tempo) e’ diventata una priorita’, la tua arte rappresenta un riferimento prezioso. Se e’ vero che l’essere umano e’ stato creato ad immagine e somiglianza di Dio allora e’ vero che il bisogno di creare e’ un aspetto innato dell’uomo, un bisogno che lo distingue da tutti gli altri esseri viventi, e nel processo creativo non facciamo che riportare alla memoria immagini che risiedono nel fondo della “memoria collettiva” . Purtroppo la maggior parte delle persone apprezza il “bello” senza pero’ comprenderne il significato, apprezzabile solamente in seguito ad una ricerca lunga e faticosa, un cammino lungo che mi vede solamente all’inizio ma che la tua pittura rappresenta con grande dignita’.
C’e’ poi chi, non essendo in grado di creare, distrugge e nella vita non c’e’ niente di peggio. Il titolo “Giuditta ed Oloferne” vuole solo essere un modo di dare un connotato narrativo al brano che in realta’ e’ stato piu’ ispirato al concetto vasto che il tuo lavoro mi comunica, un concetto che distaccandosi dall’immediatezza dell’esperienza visiva coinvolge tematiche piu’ vaste, personali e complesse. Al dila’ quindi di un godimento immediato, che spero comunque ci sia, vorrei che questa musica riuscisse a portare con se un barlume di quei pensieri che l’ accompagna.
Con affetto”

Federico Fiorentino – Boston 11-23-2001

“Oggi, Arnaldo Miccoli, anche con la mostra With war on my mind, vuole diffondere in questo nostro mondo, quella civiltà di cui è intriso. E lo fa in tranquillità e con quell’ottimismo della volontà di cui sono dotati soltanto gli artisti e i poeti. Gli unici in grado di salvare il mondo perché producono Verità e Bellezza. Ed ecco il messaggio di speranza, un futuro migliore, rappresentato in Man with a pipe, opera nella quale domina il colore rosso che per il nostro pittore è simbolo di speranza e di tutti i valori. L’uomo che fuma la sua pipa, che altri non è se non l’artista e costruttore di pace Arnaldo Miccoli, è il custode dei valori e comunicatore di messaggi positivi: le nuvolette di fumo che escono da questa sorta di calumet della Pace rappresentano un mondo dove stabilire, una volta per sempre, sull’intero nostro pianeta, una pacifica convivenza, e significativo è l’abbraccio del rilassato fumatore al maialino che rappresenta il salvadanaio, meglio lo scrigno nel quale custodire i valori espressi dalla Poesia e dell’Arte dai quali derivano Bellezza, Verità, Amore per la Natura, la madre di tutte le madri, Pace. “

Giovanni Paladini – Gennaio 2016

“Sagome , antropomorfismi nella società contemporanea.

Parlare oggi di arte, può rappresentare un esercizio complesso, provare a indagarne i principi può dar luogo alla necessità di porsi domande che, solo apparentemente, esulano dalla globalizzazione del pensiero comune.
La società sembra vivere un momento storico implosivo, tendente all’autocelebrazione e all’omologazione escludendo il confronto, le diversità e l’inclusione.
Ci troviamo, ancor oggi, a dover fronteggiare quel fenomeno che Mc Donald definì “Mass Cult”, fenomeno che nel suo dilagare rischia di “opacizzare” l’unicità del pensiero indipendente e critico.
Tutto ciò spinge a interrogarsi su chi sia l’Artista prima ancora di rispondere a domande su cosa sia l’Arte.
Ed è in questo contesto sociale e storico che l’uomo-artista, l’artista-uomo, come Arnaldo Miccoli spicca fino a rompere l’immobilità creata da quel pensiero omologante e compiacente che appiattisce la scena artistica su più livelli.
Se si prende in esame l’intera produzione artistica di Miccoli, l’elemento primo ad emerge è la costante attenzione ai temi dell’uomo, al pensiero e ai condizionamenti che ne determinano i comportamenti, le scelte e le ideologie.
In quest’ottica l’artista realizza un’arte catartica, attraverso la quale è possibile interrogarsi in cerca di quella ribellione interiore che permetta la rinascita e nel contempo la purificazione per assurgere alla liberazione dell’Uomo-materia e Uomo-spirito.
Miccoli ridona al ruolo dell’artista l’impegno e il ruolo di cronista, a cui è affidato il pesante fardello di documentare la storia del presente, si fa analisi e denuncia, mai condanna ma apre costantemente alla speranza, la forza dell’impasto, delle cromie, diventa esternazione di pensieri dolorosi, di impressioni stupite, di un animo che non si arrende e sollecita alla Resilienza vera, quella che spinge a resistere e ad aprirsi al prossimo per accogliere mai per escludere.
La cronaca visiva qui presentata attraverso il ciclo dal titolo “Sagome”, dunque, arriva come ricerca, come approdo inevitabile, lo sguardo attento rimanda tutto alla memoria personale e collettiva, immagini che si creano come pensieri, talvolta incubi, filtrati e decantati dalla coscienza attiva e sempre vigile.
Miccoli adotta l’archetipo concettuale di sagoma, affidando ad esso il racconto di ciò che percepisce nel quotidiano, l’uomo deprivato della propria identità e umanità, ridotto a riflesso di se stesso, non più artefice del proprio tempo, destinato a soli contorni a delimitarne l’esistenza e forse la sopravvivenza.
Non più uomo ma immagine-riflesso di se stesso, vittima dell’ingranaggio globale e del pensiero omologato.
La sagoma come simulacro, fantasma, immagine non più pienamente corrispondente al reale, In una società dove viene messo in discussione il concetto di Realtà e non di verità, (per dirla con Boudrillard), l’uomo è destinato a vivere come Simulacro, assoggettato ad esistere in funzione della società dei consumi piuttosto che dell’”essere”.
La Sagoma- Simulacro di Miccoli pone l’accento sull’apparenza scambiata per verità, diviene maschera, tema già affrontato dall’artista, della realtà stessa, la Sagoma–Simulacro fornisce una visione del vero mistificato, divenendo “Alter Realtà”.
La destrutturazione dei rapporti sociali, in cui l’immagine esiste in quanto “segno” muto di comunicazione, l’Uomo – Sagoma, costituisce una proiezione dell’iperrealtà divenendo esso stesso simbolo riconoscibile, in quanto parte di una logica comune e non della possibile unicità tanto caratterizzante, quanto necessaria a creare piani diversificati di scambio e di pensiero.
La collezione che va a comporre la mostra “Sagome” si presenta con il ritmo di una narrazione serrata, ogni opera è una pagina da sfogliare e costituisce un potente j’accuse al quale è impossibile sottrarsi.
Miccoli intraprende un viaggio scavando nel profondo collettivo, cerca nelle pieghe profonde della società e mette in evidenza uno scenario senza veli , scarnificato, va dritto all’essenziale, la sagoma diventa soggetto narrante.
Nell’opera “Red Across” la croce, simbolo universale di sacrificio divino, si impone su fondo nero, il rosso simbolo di sangue ma anche di mobilità e energia in costante movimento, sembra suggerire l’idea di un confine tra vita e morte, il grande attraversamento a cui nessuno può sottrarsi e che riconduce l’uomo alla sua essenzialità, alle paure ancestrali, davanti al mistero della vita e della morte siamo tutti uguali, il viaggio ( la vita) è il fattore caratterizzante tra i due eventi, tra un inizio e una fine. La partenza e l’arrivo.
Con l’opera “La nascita di Adamo” Miccoli scompagina quella che è la visione assimilata nel tempo, non fu Eva a nascere da una costola di Adamo, bensì il contrario. Ci troviamo davanti non un semplice scambio di posizioni di genere, non una questione puramente semantica, non una speculazione mistica, ad un gioco sottile di ribaltamenti, bensì ad un pensiero rivoluzionario che scardina secoli di sottomissione femminile. Di primo acchito i due soggetti disegnano una croce, riconducendo al sacrificio e al divino, la sagoma femminile si sovrappone a quella maschile che la contiene, l’insieme crea un dinamismo disarticolato simile ad una danza. La scena appare sofferente, il capo rivolto in alto lo sguardo verso il Supremo, le X sul ventre richiamano punti di sutura, il grande ventre della madre, l’origine e insieme la prima vera forma di spiritualità adottata dall’uomo, che vedeva nella donna la Dea, la madre terra da cui ha origine la vita. La sagoma Eva, urla il dolore di intere generazioni di donne deprivate, ieri come oggi, della dignità di persone, l’opera riscatta l’immagine femminile riducendo Adamo a ombra, a sagoma di supporto. L’eterno gioco dei ruoli si fonde in immagine unica e universale. La Nascita di Adamo” rappresenta ogni donna, se ne fa carico, ne rivendica la dignità e la grandezza. La scelta cromatica avvolge l’intera scena in un’atmosfera liquida, amniotica.
Il racconto si snoda, continua capitolo dopo capitolo, non si risparmia, non “ci” risparmia. Il gioco si fa allusivo, “Pretofilo” colpisce come un diretto, la sagoma si impone attraverso una simbologia esplicita, inequivocabile e caratterizzante, il calice simbolo del sacrificio divino e di possibile riscatto, è posto al centro, posizione del cuore, ma il segno grafico rimette tutto in discussione tracciando il sesso eretto, suggerendoci la mistificazione, sacro e profano entrano in collisione, denunciano una storia tristemente antica e insieme attualissima, di abusi e orrori, un clero che tradisce se stesso attraverso l’ignominia, la tonaca non è più scudo sufficiente, l’artista svela ciò che è occultato, portando alla luce verità scomode. Il calice-cuore è il centro del bersaglio, quello trafitto dal dissacrante e quanto mai carnale genere umano.
Cerchio bleu” raggiunge la sintesi estrema, l’uomo-sagoma-simulacro di se stesso appare disfarsi, la sagoma non ha un segno netto, si sbriciola nello spazio, non ha più entità, unico elemento vero il cerchio al centro, di sé non resta nulla se non che si compia il destino ineluttabile, qui è espressa tutta la fragilità di un’umanità bersaglio, quando la si priva della possibilità di determinarsi, l’uomo cessa di essere uomo, determinando la morte dell’intera società.
Romeo and Juliette”, creano un momento di pausa all’incalzare della narrazione, sempre più coinvolgente che qui si tinge di malinconici rimandi letterari. Secondo il critico Harold Bloom L’amore di Romeo e Giulietta è la passione più sana ed edificante che la letteratura occidentale ci abbia mai consegnato. Impossibile non sentire il contrasto della storia d’amore più celebrata di tutti i tempi, private del volto le due sagome si intrecciano, si fondono l’una nell’altra, uno stridore di sentimenti ed emozioni caratterizza l’opera, il sesso esposto si inserisce nella trama senza alcun richiamo di tipo sessuale, è piuttosto un inno all’amore assoluto, mondato di orpelli e condizionamenti che sembrano fattori caratterizzanti la società attuale, fattori che compromettono e inquinano il rapporto d’amore in tutte le sue componenti, nuovi Mercuzio Nutrici, Tebaldo, si incastrano oggi come ieri quali fattori inquinanti. La morte dell’amore, dei sogni, dell’adolescenza sognante, si ripete in modo rituale nel tempo.
Ancora l’uomo diventa bersaglio, sagoma obiettivo su cui dirigere il colpo, puntare l’arma, si susseguono gli out put ,Guardian of Still life, Status Quo, Samurai, ancora l’uomo intrappolato e costretto dai luoghi comuni, dalle logiche di mercato urla muto la sua esistenza. Il messaggio non vuole essere la soluzione al problema ma il problema stesso, quello che i più nemmeno si pongono. Le sagome superano il valore meramente estetico per imporsi con la componente puramente antropologica, attraverso simboli universali e immediatamente riconoscibili. Le opere portano oltre la comune coscienza, un percorso che conduce a quello che gli inglesi definiscono Visual thinking, si attua quel processo di pensiero attraverso la purezza e l’essenzialità delle immagini.
L’artista ci riporta in un terreno magico e rituale, il segno è parte integrante del verbo visivo, Guardian of still life,Man with pipe, Superstite,Fanthoman suggeriscono implacabili, istillano il dubbio.
Si alternano le sagome antropomorfe, guidano lo spettatore in un vortice infinito, fuori dal tempo cronologico e dalla logica della mass cult imperante.
Self made man accende un faro su quanto di più contraddittorio la società ci propone, il sogno, tipicamente americano, di potercela fare pur partendo dal nulla, con sacrifici e volontà si infrange contro una realtà che sembra tendente a disconoscere i meriti e le competenze. La mediocrità e l’illusione del tutto possibile senza sforzo e impegno, costituisce un cancro sociale che precipita l’uomo nel limbo, rendendolo incapace di autodeterminarsi, ecco che in questo contesto Self made man urla, accusa, denuncia, è la sagoma che presenta maggiormente caratteristiche anatomiche, come a voler suggerire che solo l’impegno e il lavoro duro possa completare la formazione della personalità, rendendo liberi e autori del proprio destino.
Ludopatia mette in luce una delle problematiche patologiche del nostro tempo, si sofferma sull’incapacità dell’uomo a controllare gli impulsi, diventa egli stesso un meccanismo volto all’autodistruzione. La crisi sociale ed economica sollecita comportamenti tendenti alla ricerca di soddisfazioni facili, illudendo l’uomo di essere protagonista delle proprie scelte e del proprio fare, è invece la pedina di un gioco molto più grande ed elaborato che ha la forza di condizionare le masse, usandole a scopi puramente economici. Ciò che resta è la superficie di un uomo consumato e disumanizzato.
Camouflage, rimanda ai manichini esposti in vetrina, il manichino–sagoma non esiste, ciò che vediamo è ciò che indossa, la sagoma è mentalmente inesistente pur essendo reale. La velocizzazione imperante impedisce di soffermarsi sull’essenza, il “trucco” funziona grazie alla superficialità di percezione. Ecco che la sagoma si veste di cinture – cinghie, simboli –corazza, strumenti di coercizione che legano al sistema, bloccano e, paradossalmente, offrono un’identità altra dal sé. Identità camaleontica e spersonalizzante. Tuttavia all’altezza del cuore appare un volto, l’espressione sgomenta, un occhio sul mondo esterno, dà, nell’insieme, la misura della caducità dell’inganno.
Danza come rituale, come terapia, come liberazione, danza che si scontra nell’interpretazione di Danzatrice organica con testa altrove, la scena è teatrale, una teatro satiresco, lì dove i satiri rappresentano la parte smargiassa, pavida e vile nella propria comicità. Una comicità drammatica, da teatro greco per l’appunto, che dipinge l’omologazione più ottusa, le mode vengono indossate senza consapevolezza, livellano il gusto e annullano l’individualità di pensiero. Tutto diventa organico ma altrettanto falso, la danzatrice non è se stessa bensì la maschera che indossa e con essa i temi che rappresenta. La danza è metafora di una vita inconsapevole, di schemi preconfezionati ,indossati come seconda pelle, le luci e i colori del palco, offuscano e confondono la percezione dello spettatore Suona e danza ritmi che non le appartengono, svaniscono nella coscienza drogata e anestetizzata dalla non consapevolezza, dall’assuefazione. L’artista mette in scena la spettacolarizzazione sociale dove l’importante è una visibilità pret a porter, fatta di lustrini e comportamenti tanto comuni alla massa, tanto quanto decontestualizzati. La testa è altrove, la musica impazza ma tutt’intorno regna il silenzio.
Nell’opera Why me?, la domanda è inquietante. Riporta ad una moderna crocifissione, la società esige sacrifici, la domanda resta sospesa e senza risposta, il bersaglio punta alla gola, al verbo, all’impossibilità di comunicare. Il cristo – uomo che rivolge la domanda al cielo, perché?Si impone il rosso, suggerimento di un’umanità incapace di porre domande e trovare risposte al destino ineluttabile.
L’uomo qualunque, il “povero cristo”,diviene oggetto sacrificale del nostro tempo. La sagoma , nella sua essenzialità materica, resta riflesso del sé soggettivo, intimo e possibile bersaglio. La narrazione conduce fino all’ultimo capitolo , un percorso celebrale prima ancora che visivo esplode con l’opera Not if but when, l’artista ci suggerisce che non c’è più tempo, inchioda, idealmente, lo spettatore a quella croce simbolo che ha dato inizio al percorso, lo inchioda alle responsabilità personali e sociali del suo, nostro, tempo. In quest’opera è esaltato lo sfaldamento e la disgregazione, la sagoma è parte stessa del meta linguaggio segnico adottato, si fonde con lo sfondo, quasi che la domanda stessa costituisse un peso troppo grande.
Miccoli ribalta quella che è la cultura superficiale dell’immagine nella nostra società, la investe di un valore portante, le sagome racchiudono in sé l’universo umano, il messaggio, il pensiero come struttura stessa della vita. La resa pittorica è estremamente materica e vibrante, la matericità le rende vive, fatte di carne e percorsi vitali, all’interno scorre il sangue ma la linfa vitale è intrappolata, palpita ma non vive, non respira, il ritmo è claustrofobico, martellante. Il mito tecnologico è messo a nudo, l’urlo dell’artista è insieme dissacrazione e invito a svincolarsi all’asservimento dei motori sociali, tecnologici e capitalistici, per un ritorno ad un’umanità più compatibile al sistema sociale prima ancora che industriale. E la risposta a tutto il complesso vorticare di contraddizioni e complessità sociali, raggiunge l’apice con l’ultima opera, quale unica possibile irriverente risposta, un’immagine dura, riconducibile ai graffiti sui muri, alla rabbia giovanile e alla stessa immediatezza del segno e del messaggio. Affida la parola “the end” ad un’unica opera: Fuck you but soflty

Stefania Maggiulli Alfieri, sociologa dell’arte e critica.

“Quando un artista si propone, una parte di se,un suo pensiero e spesso disvela al mondo quello che il mondo non ha ancora compreso.
Un insegnamento che ho cercato di seguire costantemente quando ho avuto poi la fortuna di incontrare tanti artisti, molti dei quali ora carissimi amici. Un insegnamento che ho esercitato anche con Arnaldo,
ogni qualvolta ho avuto il piacere di visitare le sue mostre, vedere i suoi quadri che ho subito riconosciuto tra lo stupore degli “addetti ai lavori”.
E mi son fatto un “quadro” dell’amico Arnaldo, attraverso le sue opere ho visto(ho voluto vedere) le vicissitudini del suo “animo”.
L’artista che sente ammirazione per quello che ha colto, che sa di dovere comunicare la sua ammirazione per un mondo cosi’ lontano e diverso dal suo e dal quale si sente attratto. Che pero’ esprime con opere che comunicano anche un certo distacco dallo spettatore.
E’ come se Arnaldo , pur apprezzando il nuovo mondo , che lo ha accolto come figlio, senta da artista che qualcosa gli sfugga. E va e torna dagli USA, confronta e scruta. Ritorna tra gli amici e discute. Osserva ,riflette e infine…..MASCHERE , L’UOMO e le MASCHERE.
CHE SIA NEL PICCOLO PAESE O NELLA METROPOLI:
IL VOLERE ESSERE QUELLO CHE VOGLIAMO CHE GLI ALTRI VEDANO ESSERE NOI””

Eduardo Pascali

“Per descrivere il senso della sua arte sono partito dalle sue opere: figure umane mascherate ,colorate con toni variopinti, con espressioni forzate, coperte di stringhe,borchie,intente,a volte, agli equilibrismi funambolici del circo.
Sono maschere dietro le quali si nascondono sentimenti e debolezze, ne svela le loro nudita’ solitarie, i silenzi, ne rivela le solitudini umane del vivere quotidiano.
Rappresenta l’alienazione, lo stress, di un mondo capitalistico-tecnologico che prova a mascherarsi per dare di se’ una faccia diversa da mostrare.
Pesca le personalita’, piu’ profonde utilizzando uno speciale tipo d’intelligenza: la gentilezza. Essa e’ volta a capire lo stato d’animo altrui, un’intelligenza che non si limita a dire” questo e’ il tuo territorio e io me ne sto fuori”, ma e’ tesa proprio alla comprensione di quel territorio.
La gentilezza di Arnaldo si nutre di leggerezza senza superficialita’.
Esso rifugge l’enfasi e i gesti plateali, servendosi di mezzi piu’ semplici, che le sue sensibilita’ e radici salentine gli hanno dato, come attenzione , ascolto, riflessione sui piccoli particolari. Sceglie i colori e le linee piu’ adeguate , e lo fa in maniera mai banale. Una vera e propria arte tesa a rendere piu’ lieve la fatica del vivere.
Le forme e i colori delle sue figure emanano un sottofondo musicale fatto di armonie e dissonanze, come in un pezzo di Jazz.
Si accavallano strumenti in toni bassi e alti che ritmano il movimento delle figure, assecondandone
Le pulsioni e le espressioni dei volti.
L’artista scava a piene mani sul suo pescato, lo rappresenta con efficacia, lo svela agli occhi di tutti, come uno psicologo lo traduce in segni, in colori, in toni.
Le sue opere sono il segno di un divenire costante delle fragilita’ umane per costringerci a fare i conti con noi stessi nel XXI secolo della modernita’ globale.”

Gege’ Benedetti

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