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Gli «Angelieddhi e tiaulicchi» cavallinesi di Arnaldo Miccoli

Liriche in dialetto cavallinese che accompagnano una vita intera. Ricordi di un tempo che fu, ironia, ilarità ma anche tanta malinconia nei versi di Arnaldo Miccoli nel suo libro Angelieddhi e tiaulicchi cu fiuri te campagna (Il Salentino Editore), silloge poetica che compendia una produzione poetica che ha seguito di pari passo quella di pittore rinomato dell’autore e che oggi vede la luce in una pubblicazione. Scrive Alessandro Laporta nella sua prefazione al libro: «Le fonti di ispirazione sono molteplici, filtrate tuttavia da una poetica di cui Miccoli non fa mistero: in Comu nasce nna puesia mette insieme – condizione imprescindibile – cervello cuore ed istinto, attenti e preparati al dettato della Musa e forse ci si potrebbe spingere ancora più indietro con Lu ciucciu e lu pueta, innocente scenetta all’apparenza, in realtà invito alla riflessione, se non altro, sulla natura dell’asino […]. Una poetica che attinge dalla memoria, che se paludata emerge timidamente ogni tanto, se più spontanea è più presente e si percepisce, nella maggior parte delle poesie qui raccolte: memoria dell’infanzia, di un passato addolcito dal ricordo, di un modo di vivere che non c’è più, quando si poteva lasciare aperta la porta di casa, in totale armonia col vicinato. Una poetica dunque, che ha delle solide basi e lo si può vedere nell’uso dell’apologo, nella ricerca della morale (Ndaticchia e Ronzinu) o nel dialogo accorato e struggente fra nonno e nipote (La Memoria appunto). E accanto al serio uno straripante faceto, nei dialoghi fra comari per esempio, nell’uso dei doppi sensi (Lu ratta e binci), nella sana satira politica (Ha passatu lu state), negli argomenti scurrili trattati con elegante disinvoltura (La figghia vecana, Lu cavallu te Caddhinu, Lu meraculu, ecc.). Non possono mancare le poesie d’occasione (Alabama, Centucinquantanni te lu Capitanu Black, Lu cenone te Caputannu 2020, Per l’amicu Gigi Proietti, ecc.), quelle dettate dagli eventi contemporanei, spesso tragici, soprattutto il Covid, la Xylella che ha desertificato il paesaggio ed il dramma dello sbarco clandestino sulle coste del Salento allargato al Mediterraneo “fossa comune”, rivissuto in versi toccanti (Lu mare li gnutte)». Arnaldo Miccoli (Cavallino 1938), diplomato all’istituto statale d’arte «Pellegrino» di Lecce ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Roma con Peppino Piccolo e Franco Gentilini e l’Università Cattolica degli studi Sociali di Roma. Nel 1960 pubblica una raccolta di poesie in vernacolo dal titolo Fiuri te Campagna. Nel 1962 fonda Lu Lacquaru, numero unico per le feste natalizie. Nel 1965 parte per gli U.S.A.,dove vi trascorre i primi anni della sua permanenza, alternando all’insegnamento la pittura. Nel 1973 torna a Roma e vi si stabilisce con la famiglia per quasi due anni. Di questo periodo sono le mostre in Italia e in Europa. Nel 1975 rientra nuovamente negli Starti Uniti e si dedica a tempo pieno alla pittura ed alla illustrazione, tenendo mostre personali e collettive in varie città degli Stati Uniti e d’Europa. Nel 1979 rientra nuovamente in Italia, questa volta in Toscana a Montecatini Terme, per un soggiorno di circa due anni, esponendo a Roma e a Milano le sue opere. Nel 1981 rientra negli Stati Uniti per stabilirsi definitivamente a Tenafly, nel New Jersey, dove opera con studio al 275 Engle Street. Le sue opere sono in collezioni pubbliche e private tanto in Europa quanto negli Stati Uniti d’America.

Giuseppe Pascali

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